MONTENERO DI BISACCIA. Che sia tutt'altro che semplice lo sanno e lo dicono anche i promotori, ma quanto è difficile arrivare al passaggio in Abruzzo? L'argomento sta diventando una sorta di tormentone, a Montenero come in provincia di Isernia: non vogliamo stare più in Molise, vogliamo diventare parte della regione confinante. Da sempre invidiato, qualche volta oltre misura, talvolta ritenuto con eccessiva fiducia la soluzione di ogni problema, il sogno abruzzese, l'Eldorado, ha dato vita a più di un comitato in Molise.
Eppure non è facile, anzi. Su Monteneronotizie ce ne siamo occupati in passato (link a fondo pagina) e in questa sede si vuole analizzare il primo scoglio da superare, quello locale, vale a dire il referendum cittadino.
Sarebbe infatti necessario indirne uno e raccogliere il consenso maggioritario dei cittadini monteneresi: volete passare in Abruzzo? E qui, se ci si limita a un sondaggio alla buona (fatto anche su questa testata), oppure a domande qua e là in piazza, sembra unanime il coro: sì!!! Diventa più complesso passare ai fatti, farlo quel referendum, e per diversi motivi.
Occorre subito precisare che a Montenero un referendum cittadino non c'è mai stato, ma è previsto dallo Statuto comunale. In particolare è l'articolo 36 a specificare sia i requisiti minimi per richiederlo (voto in Consiglio comunale o trenta per cento degli elettori), sia la necessità che sia redatto un apposito regolamento per la modalità di svolgimento (ammissibilità , tempi, organizzazione ecc.). Ebbene, è qui che arriva il primo intoppo.
Perché quel regolamento, dopo il varo dello Statuto nel 2007, non è mai arrivato. Ne consegue che per indire il referendum per passare in Abruzzo bisognerebbe prima approvarlo, o meglio scriverlo da capo. E a fare questo è normalmente la Commissione Statuto e regolamenti, che però è ferma dal maggio 2023. Per altro è senza presidenza dopo il rimpasto di giunta dell'estate scorsa e, soprattutto, la maggioranza non ha più i numeri per indicare un nome. E figurarsi se la sindaca Simona Contucci rischia di farla presiedere da uno che non sia assolutamente fidato. Meglio lasciare che tutto vada avanti per inerzia, "vacca pasc e campana son" come si dice a Montenero e non solo.
C'è però un'altra via: approvare direttamente in Consiglio comunale, senza passare per la Commissione. Ma aldilà della procedura poco corretta, che presterebbe il fianco a critiche infinite, diventerebbe complicato sia redigere i vari capitoli sia votarli. Come gestire gli emendamenti? E l'eventuale ostruzionismo, fin troppo facile in un caso del genere? Quante ore, o giorni, dovrebbe durare la discussione di un solo ordine del giorno?
Resterebbe un'altra via e cioè avvalersi solo del Testo unico degli enti locali, ma tutto fa pensare che anche in quel caso non sarebbe facile. Il Dl 267/2000, all'articolo 8, indica "adeguato numero di cittadini" per richiederlo, ma poi delega tutto allo Statuto. E quindi al regolamento che non c'è.
Ma questo adeguato numero di cittadini qual è? È qui che arriva un altro intoppo, potenzialmente insuperabile. Come accennato in apertura lo Statuto comunale prevede che a firmare sia almeno il trenta per cento del corpo elettorale. Parliamo di circa duemila persone, perché a votare andranno pure poco più di quattromila a Montenero, quando va bene, ma nell'elenco figurano i monteneresi all'estero, residenti altrove ecc.
Duemila persone significa che l'intera fetta di popolazione che ha votato per la lista perdente, alle comunali del 2020, non basterebbe. Ed è ragionevole supporre che non firmerebbero tutti per il referendum di annessione all'Abruzzo. Altresì è sconsigliabile pensare a un soccorso dagli elettori di Simona Contucci: la sindaca farebbe di tutto per impedire il referendum, di essere contraria al passaggio l'ha fatto capire chiaramente.
Resta la strada del Consiglio comunale, che può chiedere il referendum, ma in questo caso occorre avere la maggioranza, che i promotori del comitato non hanno. A meno che non vi sia un'altra defezione, dopo quella di Andrea Cardinali e Tania Travaglini, cosa al momento non plausibile e, succedesse, occorrerebbe pensare prima alle elezioni anticipate.
Il precedente storico. L'altra volta in cui si è parlato di referendum cittadino è stato nel gennaio 2003, quando la maggioranza lo pensò come soluzione per uscire dall'impasse causato dalla ipotizzata centrale elettrica turbogas in contrada Padula. Un progetto cui prima l'amministrazione era favorevole, poi arrivarono i nyet dal gotha di sinistra, i viaggi a Londra annullati all'ultimo, fatti letteralmente a pezzi dalla minoranza in Consiglio con lettere imbarazzanti sul tipo di quelle che anni dopo si sarebbero viste per il South Beach. Alla fine il referendum per far decidere ai cittadini, e in quel caso la granitica maggioranza di centrosinistra aveva i numeri, perciò votò in Consiglio comunale l'indizione del referendum. Poi non se ne fece nulla, il progetto turbogas svanì da sé, il centrosinistra continuò a restare saldamente al potere. Ma attenzione, anche allora sarebbe servito il regolamento, che probabilmente quell'amministrazione sarebbe riuscita a fare più facilmente rispetto all'attuale (non avrebbero avuto problemi a eleggere un presidente e probabilmente nemmeno a sopportarne uno avversario, diversamente dagli attuali inquilini del Palazzo). Il regolamento per il referendum non arrivò allora, non arriverà adesso.
E trovare duemila firmatari può rivelarsi più difficile di scalare il K2.
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