MONTENERO DI BISACCIA. La prima caratteristica che si nota è il numero di liste, ben sette e delle quali quattro ancora con i simboli di partito. Altri tempi, altre elezioni comunali e, attenzione, altra Montenero. In tutti i sensi. Vale la pena di ripercorrere quel giugno 1980 e fare un breve excursus di quello che ne seguì nel quinquennio successivo. Non fosse altro che diverse delle scelte fatte allora sono tangibili ancora oggi.
Dalla foto proposta e fatta a suo tempo da Gorizio Pezzotta non si riescono a leggere i nomi, ma è evidente che ne sono parecchi: per le comunali dell'8 giugno 1980 si candidarono 116 persone. Una cifra oggi impensabile, quando è diventato difficile trovare anche i ventisei nomi necessari per presentare almeno due liste. All'epoca, va precisato, il Consiglio comunale di Montenero aveva venti membri, oggi tredici.
L'altro aspetto da notare è la presenza dei simboli storici di partito, Democrazia cristiana e Partito comunista italiano su tutti. Ed ecco più o meno come andò quell'elezione. La Dc veniva da una sensibile rivisitazione dei suoi quadri, dopo che il suo ultimo sindaco Luciantonio Sacchetti era stato sfiduciato a pochi mesi dalla scadenza del mandato. Era evidente che nella Balena bianca montenerese c'erano delle frizioni, specie a partire dalle elezioni politiche di un anno prima, quando le due correnti facenti capo ai parlamentari termolesi Girolamo Lapenna e Florindo D'Aimmo erano arrivate allo scontro aperto. Eppure in quel giugno '80 si era ritrovata l'unità e il listone presentato dalla Dc aveva in organico Armando Benedetto, all'epoca trentaseienne insegnante di lettere nel locale Istituto tecnico commerciale. Diventò sindaco alla seconda seduta utile, circa un mese dopo le urne; l'elezione diretta sarebbe arrivata in seguito. A sostenerlo una maggioranza a undici, un solo numero di vantaggio, schema ricorrente a quei tempi: sette democristiani e quattro della lista civica centrista Torre. In quest'ultima c'era ancora l'ex sindaco Antonino Vitulli, col quale la Dc aveva ricucito già da qualche anno, ma che non ebbe ruoli in giunta.
Armando Benedetto nel presentarsi fece ricorso alla sua sconfinata preparazione umanistica, ma senza farcire di citazioni il discorso, che rimase ben comprensibile. Un breve richiamo a Piero Calamandrei e poi la consapevolezza che amministrare era difficile, addirittura un'ammissione inattesa di inesperienza. Chi in quella sua parlata lenta e nasale avesse visto segni di debolezza, tuttavia, avrebbe dovuto ricredersi di lì a poco. Benedetto fece l'intera consiliatura quando da alcuni anni erano diventate una costante le turbolenze, interne alla Dc oppure quando essa ricorreva alla difficile alleanza con i comunisti, come nelle due precedenti amministrazioni. Si può cercare di riassumere i frutti di quella stabilità amministrativa e, sia consentito, di un diverso atteggiamento dei monteneresi di allora verso il proprio paese.
Il quinquennio 1980-85 fu quello del palazzetto dello sport, della variante al Piano regolatore, dello sviluppo costiero che sembrava davvero a un passo dall'arrivare, dell'individuazione della strada Mare-Collina lungo la direttrice nord, senza i zig zag pensati anni dopo. Fu l'epoca del primo autobus urbano (la mitica circolare "Furia"), di una strada all'apparenza improbabile ma destinata a diventare la più usata per entrare e uscire agevolmente dal centro: viale Europa. Sempre la giunta di Benedetto individuò il sito per il nuovo stadio dov'è adesso, anticipando il concetto di polo sportivo oggi realtà . Di allora è anche l'individuazione dell'area dove costruire una nuova chiesa, poi chiamata San Paolo. Un cenno infine alla zona artigianale di contrada Canniviere. Va da sé che la normale manutenzione era cosa cui nessuno dava troppo peso, essendoci altro da osservare e criticare. Già perché anche la giunta di Armando Benedetto ebbe le sue cattedrali del deserto, anzi ci sono ancora. E' il caso di ricordare il rudere della scuola Professionale in via Gramsci, che in quel periodo vide la luce e anche la fine, oppure la scuola materna in via Paterno inutilizzata per anni, il mattatoio concepito troppi anni prima e ormai inutile cui forse era meglio rinunciare.
Infine, come trascurare che proprio dopo quella stabilità , quelle opere pubbliche fondamentali, quella visione amministrativa, arrivò la spaccatura che pose fine al predominio delle forze centriste, di fatto il viatico all'avanzata della sinistra? I moderati, a parte due brevi parentesi ininfluenti, avrebbero dovuto aspettare parecchio prima di tornare nella stanza dei bottoni. Armando Benedetto era persona dalla marcata preparazione umanistica, ciò che si traduceva in apertura delle vedute in stile si può dire liberale. Tuttavia non era un leader autoritario e accentratore, "difetto" – si fa per dire – proprio di chi si richiama ai valori liberali. E d'altronde Benedetto citò Calamandrei nel suo primo discorso in Consiglio. Il paradosso fu che dopo una stabilità che non si osservava da una ventina d'anni, arrivarono le turbolenze che avrebbero contrassegnato non poco gli anni successivi, spesso con danni a lungo termine specie alla Marina. Una sorta di canto del cigno del centrismo montenerese, che però fruttò alcuni buoni risultati giunti sino ai nostri giorni. Alla guida di quell'amministrazione c'era con la sua visione, la sua calma e un enorme bagaglio letterario la cui utilità forse è ora di rivalutare, Armando Benedetto.
Nelle foto Armando Benedetto quando era sindaco (foto di Gorizio Pezzotta, archivio di Antonio Assogna) e sotto nel 2007: da sinistra don Claudio D'Ascenzo, l'allora sindaco Giuseppe D'Ascenzo, don Nino Zappitelli e Armando Benedetto.