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Il fascismo a Montenero raccontato da Pasquale Colagioia

In un memoriale lasciato dallo storico esponente Pci le esperienze negli anni del regime, dalle adunate domenicali alla punizione per non aver salutato De Vecchi

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MONTENERO DI BISACCIA. Avrà pure i connotati di certa retorica di parte, però è uno dei pochi documenti di un'epoca trascurata dalla storiografia montenerese. Parliamo del fascismo a Montenero di Bisaccia e l'occasione arriva da un memoriale scritto da Pasquale Colagioia nel 1995.
Uno spaccato di storia locale, come detto di un periodo altrimenti trascurato, a volte inspiegabilmente, anche dagli intellettuali del posto.
Classe 1920, Pasquale Colagioia è stato un militante del Partito comunista di lungo corso, consigliere provinciale a metà anni Sessanta e comunale a Montenero di Bisaccia dal 1956 al 1970. Fedele al Partito che a quei tempi era come una chiesa, quel Pci a volte più bigotto persino della Dc, ma anche capace di pensare con la sua testa e di entrare in aperto dissenso con la dirigenza comunista. Tanto che Colagioia un anno è arrivato a non tesserarsi per protesta, lui che convinceva gli altri a sposare la causa comunista.
La memoria, scritta poco più di un anno prima dalla morte avvenuta nel 1996, ripercorre fra l'altro il periodo fascista a Montenero. Ed è interessante riportarne alcuni spunti, che aiutano a conoscere come il totalitarismo di quel regime arrivò anche nei piccoli paesi, come il suo.
"La domenica mattina verso le ore 8 si adunavano in piazza (la Portella), aspettavano gli squadristi che arrivavano da Petacciato ed unitisi a essi partivano gridando a squarciagola lungo le strade cittadine, con in testa delle bandiere nere a pizzo con l'effige della testa di morto. Lungo il loro tragitto – continua Colagioia – cercavano di sequestrare tutta la povera gente che incontravano per strada, facendola inquadrare nel loro corteo. Tanto che la gente si era talmente scocciata ed impaurita che, quando sentiva gli strilloni arrivare, chiudeva le porte".
Non mancano nel documento riferimenti al famigerato olio di ricino, "da far bere agli oppositori" e del quale 250 grammi "erano sempre a portata di mano". E il racconto scende anche più nel particolare, quando è citata l'esperienza di due monteneresi obbligati a berne.
Colagioia era un bambino all'epoca e racconta che con i coetanei seguiva il corteo fascista "per curiosare e per sentire i loro slogan". Ma il loro "scorretto e prepotente comportamento" non si limitava alle adunate domenicali. Perché "tutte le sere si portavano nella periferia del paese sbarrando le strade di accesso al centro cittadino, costringevano tutti quei lavoratori che tornavano dai campi a indossare la giacca per poter rientrare al paese". Questo anche nei mesi estivi.
Soprusi che finirono nel settembre 1931 (in realtà è scritto per errore nel 1930), quando il centro cittadino fu teatro della celebre sommossa contro il podestà Francesco Di Vaira. "Il popolo di Montenero insorse (…) per le ingiuste tasse che avevano imposto, facendo uno sciopero che durò tre giorni". Il finale non è spiegato nei dettagli, ma è noto: le forze dell'ordine aprirono il fuoco e pur alzando il tiro per non colpire chi avevano davanti, ferirono a morte tre persone che erano distanti trecento metri, dietro la Villa comunale, che nemmeno partecipavano alla sommossa. Qui il link per approfondire.
Dopo gli spari, continua Colagioia, "la folla sparì dalla piazza" e "nella notte ci furono numerosi arresti di cittadini su segnalazione di squadristi e una quindicina di loro dovettero subire un processo penale, venendo condannati ad alcuni anni di carcere". Condanne poi estinte anzitempo con un indulto, come riporta lo storico montenerese Emilio Paterno.
A Montenero intanto il podestà Francesco Di Vaira fu destituito, se ne andò nella sua tenuta a Petacciato e non tornò più. Ma se certe bassezze ebbero almeno una battuta d'arresto dopo la sommossa, certo continuarono soprusi e ristrettezze dovuti al regime fascista. Ne parla sempre Colagioia nel suo racconto, per esempio quando cita l'impossibilità di fare la spesa la mattina prima dell'arrivo del segretario politico del partito. "Costui arrivava dopo le 8, si faceva la spesa per sé e per le persone di sua appartenenza, e dopo si dava il via alle altre persone che stavano aspettando dalle 6 del mattino per fare la spesa che doveva servire per dare da mangiare ai mietitori che lavoravano nei campi". Anche nelle macellerie di Montenero il segretario politico "sceglieva la carne più buona" e quel che rimaneva "era per la gente comune".
Interessante anche la parte dove descrive il cosiddetto ammasso del grano, vale a dire l'obbligo di consegnare parte dei cereali raccolti all'autorità statale. Pasquale Colagioia nel 1943 era militare in convalescenza e per questo fu nominato funzionario giurato per controllare il raccolto nelle aziende agricole. "Non ho potuto dire di no", la sua precisazione, "perché a chiamarmi vennero i carabinieri". E così fu mandato in varie contrade dell'esteso territorio montenerese, dove spesso si trovò davanti a scene pietose. Come quando la madre di undici figli "venne da me chiedendomi di non segnare tutto il grano perché con quella razione, che l'ufficio annonario assegnava a ogni componente della famiglia (due quintali l'anno), non riusciva a mantenerla" la famiglia. Allora propose alla donna di indicare lei stessa quanto segnare. Fece lo stesso in altre aziende, finché i superiori non si accorsero dell'ammanco e non lo trasferirono in altra zona. Fece lo stesso anche qui. Questo fino al 7 settembre 1943, il giorno dopo arrivò il noto armistizio che pose fine alla guerra contro gli Alleati, ma che coincise con il totale sbandamento dell'Esercito italiano, lasciato senza ordini. "Appena appresa la notizia – scrive Pasquale – non mi presentai al lavoro. Subito iniziò la ricerca da parte dei carabinieri, ma mi detti alla macchia".
È raccontata anche la partecipazione al corteo in onore di Hitler, in visita a Roma nel maggio 1938. Colagioia era inquadrato nei corsi premilitari e fu tra i quindici monteneresi inviati nella Capitale per l'occasione. I corsi premilitari si traducevano in obbligo di presenza il sabato all'adunata nella casa del fascio, da cui si andava verso la Madonna di Bisaccia e infine sotto alla valle "dove iniziavamo le istruzioni".
Quasi a fine documento anche il racconto di un'esperienza oltre i confini nazionali. Nel 1940, chiamato per il servizio militare, fu dislocato nell'isola di Rodi, all'epoca possedimento italiano. La guerra era ancora di là da venire. Fu punito insieme ad altri con venti giorni di rigore perché non si erano messi sull'attenti al passaggio dell'auto con a bordo De Vecchi. Ignari di una precisa disposizione, in pratica, non avevano riconosciuto il suono del clacson e avevano così oltraggiato il gerarca fascista. "Alle ore 10 del giorno 13 maggio 1940 lungo la piazza Mandracchio ostacolavano il transito di sua eccellenza", questa la motivazione che Colagioia trascrive, definendola con qualche ragione "balorda".
In epoca successiva la sua militanza nel Partito comunista italiano, di cui è stato anche dirigente e esponente nel Consiglio provinciale di Campobasso (in minoranza) e in quello comunale di Montenero di Bisaccia. Qui una volta sola assaggiò il comando, quando Giuseppe Di Pinto fu sindaco per un solo anno (1965-66). Fiutata l'occasione, Colagioia preferì trascurare il ruolo in Provincia per dedicarsi a consolidare l'appena conquistato potere in Comune. Non gli andò bene, al comando del municipio tornò la tanto avversata Democrazia cristiana. Seguirono una quindicina di anni di alti e bassi con i moderati, talvolta entrando in maggioranze a geometria variabile, finché nel 1985 la sinistra non entrò nel Palazzo, rimanendovi per molti anni.

Pasquale Colagioia morì il 28 novembre 1996, un po' prima che il suo amato partito cambiasse ancora una volta nome (Pci-Pds-Ds), ma quando nella sua Montenero il centrosinistra aveva da qualche anno una solida maggioranza e cominciava a eleggere suoi esponenti nelle istituzioni superiori. Appena un anno prima il successo alle elezioni regionali del sindaco in carica Nicola D'Ascanio, per esempio, per il quale stravedeva.
Dopo la sua morte il predominio del centrosinistra sarebbe durato ancora un bel po', ma sarebbero arrivate anche le notti dei lunghi coltelli, come subito dopo le trionfali comunali del 2005. Forse il vero inizio della fine dello schieramento progressista a Montenero. Tra l'altro non fece in tempo a vedere l'avvento in politica di Antonio Di Pietro, che qualche scompiglio anche nell'agone locale avrebbe portato. In sintesi, se ne andò col ricordo del centrosinistra montenerese in uno dei suoi periodi migliori. E in fondo lo meritava Pasquale Colagioia.
Nelle foto: in alto Pasquale Colagioia durante la Seconda guerra mondiale (fronte greco); nel testo Colagioia negli anni ‘80 con altri esponenti comunisti (Michele Cistullo a sinistra, Luca Palombo a destra); sotto Pasquale Colagioia negli anni ’90. Si ringraziano i figli Alida e Alceo per la disponibilità.

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