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E Montenero diventò il paese più famoso (e blindato) d'Italia

30 anni fa partiva l'inchiesta di Antonio Di Pietro. Come nel suo comune si visse la fama inattesa: dall'acclamazione unanime ai primi dissensi. E in chiusura il no alla serata dei monteneresi celebri

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MONTENERO DI BISACCIA. Il 17 febbraio di trenta anni fa qui nessuno si accorse di vivere in quello che poco dopo sarebbe diventato il paese più famoso d'Italia. D'altronde nemmeno a Milano, dove pure la tempesta stava per scatenarsi, si intuì cosa si profilava dopo quel primo arresto. Il 17 febbraio è però considerato l'inizio di Mani pulite, mega inchiesta contro la corruzione che vide Antonio Di Pietro principale protagonista. Essendo nato a Montenero, accadde che nella successiva primavera 1992 anche il suo paese divenne celebre, a tratti meta di pellegrinaggio.
Come fu vissuto qui quel periodo? Come presero i residenti quell'invasione di televisioni, di cronisti taccuino alla mano a caccia di ogni dettaglio di colui improvvisamente diventato un eroe? E che dire dei mitomani che certo non mancarono? Quello che segue vuole essere un breve racconto di quel tempo qui a Montenero, anche e soprattutto per chi non c'era ancora o era troppo piccolo.
PRIMA DI MANI PULITE. La premessa è che Antonio Di Pietro, ivi nato nel 1950, già prima di quel 1992 tornava spesso nel suo paese. E già prima di Mani pulite era apparso in televisione per alcune sue inchieste nella Procura di Milano, una su tutte quella sulle patenti facili. Ma in pochi ne erano al corrente, soprattutto suoi parenti, i quali non mancavano all'appuntamento e accendevano la tv quando sapevano che si sarebbe visto il "giudice". Era ancora poco conosciuto a fine dicembre 1991, quando in una casa nel primo tratto di via Argentieri insieme ad altri commensali divorò un intero tacchino, cotto al forno a legna per tutto il pomeriggio. Era lui l'ospite speciale, ma non disse una sola parola dell'inchiesta che sarebbe partita solo un mese e mezzo dopo e che, può darsi, avesse già in mente. Forse nemmeno lo stesso Tonino presagiva la tempesta che stava per scatenarsi.

Quella di inizio 1992 era una Montenero molto diversa dall'attuale. Alla Marina non c'erano che sei camping, due hotel, poche case, un paio di vie e distese sterminate di cannucce. La strada Mare-Collina, almeno quel primo tratto che si vede oggi, non c'era ancora, mentre davanti all'attuale caserma dei Carabinieri si era quasi fuori del centro abitato e si sfrecciava a velocità oggi impensabili.

La Villa comunale nella parte inferiore non era ancora stata ristrutturata; mentre il municipio, che di lì a poco avrebbe ceduto in una sua parte e sarebbe stato ricostruito, era ancora tinteggiato di ocra con rivestimento plastico anni Settanta, del tipo bucciato a grana grossa. E all'ultimo piano non c'era il sindaco, bensì un commissario prefettizio, perché l'amministrazione comunale tutta comunista era caduta a meno di due anni da una schiacciante vittoria sui democristiani. Solo di tre giorni prima, festa degli innamorati, il decreto di scioglimento del Consiglio comunale. Quanto a Di Pietro, come detto, era conosciuto ma non da molti, anzi. Eppure stava per cambiare tutto e quel 17 febbraio non lo poteva sapere nessuno.

L'AVVIO DI MANI PULITE E I PRIMI EFFETTI SUL PAESE DI TONINO. Difatti il 17 febbraio a Montenero era tutto come sempre, mancavano due settimane al Carnevale, all'epoca sentito e festeggiato con dieci e passa carri allegorici allestiti da genitori di alunni, ragazzi e finanche anziani della casa di riposo. Pertanto, se dell'arresto di Mario Chiesa si accorsero in pochi a Milano, figurarsi qui. Sarebbe cambiato tutto molto presto. Nel volgere di poche settimane l'inchiesta subito battezzata Mani pulite si ingrossò sempre più, dando l'idea di voler diventare un pozzo senza fine, capace di inghiottire tutta (non proprio, perché il Pci-Pds fu salvato...) la classe politica di quella che stava per essere derubricata a Prima repubblica, travolta dalla corruzione.
E così nella primavera 1992 Montenero di Bisaccia divenne il paese di Antonio Di Pietro. Era sempre più familiare vedere cronisti di livello nazionale venire per conoscere le origini dell'eroe di Mani pulite. Televisioni a caccia della masseria dov'era nato, della sorella tanto amata e, soprattutto, della madre. Annina, una minuta ma energica settantanovenne: aveva generato Tonino, divenne anche lei oggetto quasi di venerazione. Tant'è che una delle pattuglie di Carabinieri o Polizia, moltiplicate in quel periodo, stazionava sempre davanti la sua abitazione. Ma si narra che qualche volta sia riuscita a sfuggire alla "sorveglianza" e si sia avviata verso la chiesa senza essere vista, gettando nello sconcerto gli agenti costretti a inseguirla. Qualcosa di analogo vide protagonista anche suo figlio, quando si fece aprire la porta sul retro al santuario della Madonna di Bisaccia e, senza avvisare la scorta, tornò a piedi nella masseria distante cinque chilometri. Tonino quella volta ripercorse la strada che faceva da ragazzo, su per il cosiddetto Capolaserra (l'attuale parco dei calanchi, la strada sterrata è oggi interrotta), che all'epoca non ospitava più la discarica da appena un anno. Ma per sua sventura incontrò dei minacciosi cani randagi. Arrivò incolume alla masseria, però chi lo vide raccontò che era spaventato eccome.

Come detto in quel periodo e per i successivi due anni Montenero fu come blindato, forze dell'ordine ovunque. E quando dapprima a maggio, poi a luglio, arrivarono gli attentati ai danni di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, si cominciò a temere anche per Di Pietro. Magistrato in prima linea come i due siciliani seppur in un ambito diverso. Tonino tornò nella sua Montenero in estate e l'evento è ancora riportato negli archivi dei principali giornali. Così su La Repubblica si legge "Di Pietro lo proteggiamo noi", dove il pronome intende i monteneresi. E ciò che fino a poco prima era un'anonima masseria nella zona chiamata "Macchie", nell'agro a sud dell'abitato, diventò l'anelata quanto remota possibilità di stringere la mano all'eroe, all'italiano in quel momento più famoso. In centinaia provarono a chiedere di entrare, di parlarci, di Montenero e di ogni parte d'Italia. Ma i Carabinieri erano inflessibili e l'impresa riuscì ai pochi autorizzati dallo stesso Di Pietro.
In un pomeriggio d'estate di quel '92 fu avvistato mentre passeggiava sorridente con un vecchio amico in piazza. I monteneresi, più che curiosi, si mantenevano a rispettosa distanza e cercavano di salutarlo, mentre la scorta vigilava con efficace discrezione.
Quell'estate sì difficile, ma vissuta tutto sommato con la tipica tranquillità nel paese che cominciava a farci l'abitudine con l'inaspettata fama. Nei juke box dei bar si alternavano novità come Hanno ucciso l'uomo ragno, il talento di Annie Lennox che incantava anche da solista con Why e i ripetitivi ma efficaci riff di sintetizzatori di Rhythm is a dancer. Le domeniche tutto l'anno, e le sere estive, vedevano la piazza riempirsi di persone. Quanti avevano un telefonino, a quel tempo stimabili sulle dita di una sola mano a Montenero, erano guardati con un misto di curiosità e invidia, ma anche pena per quell'estraniarsi tra la folla per parlare con chissà chi, chissà dove.

Con la fama di Antonio Di Pietro, tuttavia, arrivarono in paese anche fanatici di ogni risma e talvolta persone sulla cui stabilità mentale si poteva dubitare. Una donna di mezza età insistette finché non riuscì a farsi indicare l'indirizzo di una nipote di Tonino. Aveva un pacco da consegnare ma, una volta suonato il campanello, a risponderle non fu la nipote ma suo cognato, da poco nuovo inquilino dell'appartamento. Questi prese la borsa di pelle marrone e la ascoltò mentre gli diceva di essere innamorata, corrisposta, del giudice. Una volta andata via, con una mossa in seguito da lui stesso definita ingenua, cercò di sentire che all'interno non vi fosse un innesco a orologeria per una bomba, come nei film. Conteneva semplici generi alimentari e fu consegnata alle forze dell'ordine. La "spasimante" di Di Pietro, si sarebbe in seguito scoperto, proveniva da un istituto per persone problematiche.
TONINO FACCI SOGNARE, così in copertina a luglio il settimanale Sorrisi e anche a Montenero non mancarono le scritte inneggianti. "Grazie Di Pietro", in caratteri stampatello alti settanta centimetri, rimase per alcuni anni sul muro del Consorzio agrario. In seguito sarebbero arrivate anche scritte contro il pm simbolo di Mani pulite, ma di questo ci occuperemo fra poco. Invece nel 1992 i monteneresi erano tutti dalla sua parte e lo sarebbero stati ancora per diversi anni. Bastava (e in parte basta ancora oggi) dire Montenero di Bisaccia e subito arrivava l'associazione con Di Pietro.

LA FINE DI MANI PULITE E LE DIMISSIONI. E' storia nota: Tonino si levò la toga con un gesto sotto certi aspetti teatrale nel dicembre 1994 e quella stessa sera arrivarono le televisioni a Montenero. Una troupe di Rete 4 si infilò nelle viuzze del centro storico e qui cominciò a intervistare chiunque capitasse a tiro di microfono. Un'anziana affermò decisa: "Pe nu so ch fa Di Pietr va bun". La giornalista fece appena in tempo a esprimere un "eh?", che subito un'altra donna tradusse: "Per noi qualunque cosa fa Di Pietro va bene". Sarebbe stato meglio dire "faccia", ma non è il caso di sottilizzare, ciò che conta è che in ambito nazionale arrivavano i primi flebili dissensi, nel suo paese no.
Negli anni a seguire le incursioni mediatico-televisive si fecero man mano più rare, ma resta memorabile quella del dicembre 1996, quando fu perquisita la masseria. Era l'epoca dell'inchiesta di Brescia e Tonino era già diventato ministro con Romano Prodi e si era dimesso. Davanti alla masseria un suo congiunto rimase suo malgrado vittima del blitz delle televisioni, e con un gesto e una frase liquidò giornalisti e cameramen: "Toglietevi con quella macchina!" (riferito alla telecamera). Pochi giorni dopo Montenero rimarcò il sostegno a Di Pietro, quando dal Consorzio agrario fu trasmesso in diretta il programma televisivo Rai Pinocchio.
DI PIETRO NON SEI PIU' TUTTI NOI. Dopo aver fondato un suo partito, Antonio Di Pietro tenne il suo primo comizio a Montenero in occasione delle elezioni europee del 1999. Indicarono il suo nome sulla scheda 2361 compaesani, cui andrebbero aggiunti i tanti che votarono solo la lista, per un risultato complessivo che sfiorò il settanta per cento sul totale dei voti validi.
Ormai schierato con il centrosinistra, i suoi conterranei mettevano da parte il proprio orientamento politico se c'era il suo nome sulla scheda. Dopo il plebiscito di quel fine secolo e millennio, però, cambiò qualcosa. Successe quando Tonino – per la prima volta – mise mano alla politica comunale. I pareri sono ancora discordi e lo rimarranno, tant'è che l'argomento tuttora provoca spasmi addominali. In parole povere l'ingresso del neo europarlamentare nell'agone locale creò scompiglio e accese appetiti politici. Ancora più in breve: l'amministrazione di centrosinistra, saldamente al potere, cadde. Nelle successive comunali anticipate Di Pietro presentò una sua lista in contrapposizione al centrosinistra locale e perse. In casa e dopo aver chiuso personalmente l'ultimo comizio.
Il consenso unanime era mutato in ricordo in pochi mesi; sul muro della Provinciale 163 (oggi SS 157) nei pressi della Cantina sociale apparve una scritta irripetibile contro di lui. Per la prima volta. Ne parlò persino il Corriere della sera (Di Pietro, insulti scritti sui muri della "sua" Montenero di Bisaccia, 21 aprile 2000) , che registrò anche la débacle di Tonino (Di Pietro sconfitto in casa dal centrosinistra, 18 aprile 2000). Seguì una fase difficile, poi la riconciliazione, il rientro in maggioranza comunale e di nuovo i plebisciti nelle candidature al Parlamento (stavolta italiano) nel 2006 e 2008.
Pace che non sembrava poter durare per sempre, poiché la storia si ripeté esattamente dieci anni dopo, nel 2010. Di nuovo scompiglio e di nuovo litigio con il centrosinistra montenerese alle elezioni amministrative. Stavolta al comizio di chiusura si accompagnarono scrippelle fritte e bicchieri di vino nella piazzetta di largo Roma. Evidentemente non bastarono, perché perse di nuovo, nel suo paese. Come dieci anni prima. E col senno di poi si può individuare in quel tonfo una specie di preavviso in salsa montenerese del tramonto politico che, di lì a due anni, si sarebbe delineato.

MONTENERO E DI PIETRO OGGI. Dopo il declino della sua Italia dei valori si è allontanato dalla ribalta nazionale e soggiorna spesso in paese. Nell'estate 2016 l'ultimo colpo di scena, quando ha declinato l'invito a partecipare a una serata dedicata ai monteneresi illustri, lui che lo era (ed è) sicuramente più di tutti, l'unico qui a fregiarsi di una voce sull'Enciclopedia Treccani sin dagli anni Novanta. Nei giorni precedenti persino l'annuncio sulla stampa regionale, poi la rabbia degli organizzatori. Dal canto suo, Tonino ha fatto come quelli che non vanno a ritirare un premio ambìto: in qualche modo lo vincono due volte. Difatti quella sera, con la piazza affollata come a breve sarebbe diventato una rarità, tutti si chiedevano come mai mancasse proprio lui. Protagonista anche se assente, convitato di pietra illustre. Ecco.

Nelle foto (in ordine di apparizione): Di Pietro durante la cena a Montenero nel dicembre 1991; la piazza di Montenero di Bisaccia nel 1992; Corriere della sera del 18 febbraio '92, arresto di Chiesa; il santuario della Madonna di Bisaccia (anni '80) con dietro ancora visibile la strada sterrata del Capolaserra; Corriere della sera ritaglio dell'articolo in prima pagina del 19 febbraio 1992; Sorrisi e canzoni copertina del luglio 1992; Di Pietro durante il comizio alle comunali del 2010 in largo Roma a Montenero; particolare della voce su Antonio Di Pietro nell'enciclopedia "Piccola Treccani" (1995).

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