MONTENERO DI BISACCIA. Se è la terza volta che succede c'è qualche problema e, soprattutto, c'è chi ha qualche problema. Perché resta difficile comprendere come si possano sfregiare le tombe di fratello e sorella ivi sepolti da venticinque anni. Non una ma, come detto, almeno tre volte. Finora.
Per comprendere la triste vicenda di oggi bisogna tornare indietro di molti anni e, purtroppo, parlare di eventi molto spiacevoli. E questo trascurando certi dettagli per rispetto di chi non c'è più e dei familiari. E' il 1997 quando muore un giovane di venticinque anni, all'improvviso, non sa e non può sapere di essere malato. Un anno e quattro mesi dopo sua sorella, che di anni ancora non ne compie ventotto, lo segue. Sono passati qualcosa meno di dieci anni da quando anche lei ha festeggiato i suoi diciotto anni, la festa che proietta verso l'età adulta, verso il futuro. Lei che finalmente ha un lavoro, un fidanzato e pensa di costruirsi una famiglia. Una terribile malattia è nel destino anche per lei.
E' il 1998, una delle estati più calde del decennio, l'anno in cui Pantani centra la mitica doppietta Giro-Tour, mentre i campionati di calcio sono vinti dalla Francia, che gioca in casa; invece nella loro Montenero si sta costruendo il nuovo stadio e la squadra locale vuole fare le cose in grande. Vincenzina e Diego, non possono assistere a questi eventi, il destino ha deciso altrimenti per loro. E come si dice in casi del genere, persino i vocabolari non contengono una parola per definire i genitori che perdono i propri figli. Si può essere orfani, vedovi, ma non c'è un termine per definire chi sopravvive ai propri figli, tanto è innaturale.
Sepolti uno affianco all'altra, a piangere Vincenzina e Diego furono (sono) non solo i suoi genitori, ma anche una moltitudine di amici, com'è normale che sia. Chi è che da un po' oltraggia le loro tombe? Perché non è la prima volta che le loro foto sono scheggiate da chissà chi, mosso da chissà quale sentimento che per pietà si può definire follia, con qualche attrezzo appuntito prende di mira quei volti che le foto per crudeltà della sorte immortalano nel fiore degli anni.
Cosa possono aver fatto Vincenzina e Diego? Perché venticinque anni dopo c'è chi con uno scalpello si accanisce sulle foto stampate su ceramica che con pazienza, e ragionevolmente dolore, i familiari per almeno la terza volta hanno ripristinato. Una volta lo sconosciuto ha oltraggiato le loro foto persino alla viglia della festa di Ognissanti, come a impedire che nel giorno in cui tutti vanno al cimitero quelle tombe fossero in ordine, uguali a tutte le altre. L'ha fatto ancora in questi giorni. Si fermerà ? Un trattamento che probabilmente non ricevono neanche i peggiori individui macchiatisi di non si sa quali delitti. Non è forse che la morte meriti rispetto, sempre? Non è così per Vincenzina e Diego. E non si pensi che si tratti di vandalismo, perché fra tante sono sfregiate solo le loro tombe. Fratello e sorella, venticinque e ventotto anni quando sono morti.
Si tratta anche di un reato penale, regolato dall'articolo 408, vilipendio delle tombe, la cui violazione prevede il carcere da sei mesi a tre anni. In casi del genere è fin troppo facile invocare pugno duro e telecamere che alla fine sorvegliano anche e sopratutto chi non c'entra niente. Finiscono per far sentire tutti un po' sul chi va là . Per dirla alla Oscar Wilde "una comunità emerge ben più abbrutita dall’impiego costante delle pene che dal verificarsi occasionale dei delitti". Forse c'è qualcosa di più profondo, perché è inevitabile chiedersi come mai proprio contro Diego e Vincenzina, ancora dopo tanti anni? Perché tanto rancore contro foto che ritraggono due giovani così somiglianti fra loro, con i capelli mossi tendenti al biondo ripresi dal padre e l'ovale morbido della madre? Cosa ti hanno fatto, di grazia?
E allora, anche se forse non servirà a niente, l'appello può essere rivolto all'autore. Se ha bisogno di aiuto lo chieda, non aspetti e la smetta di oltraggiare due tombe e compiere un reato grave. Prima che sia troppo tardi. Per tutti, a cominciare da sé.