MONTENERO DI BISACCIA. Difficile dire se ci fosse più rispetto per una delle figure più controverse da sempre, certo il titolo che le era conferito aveva la sua eleganza. E per qualche misterioso motivo qui era usanza, nei paesi confinanti probabilmente no. Ciò che ha generato un vuoto nel vocabolario dialettale montenerese irrisolto.
Chiamare la suocera "maddonn" (madonna) è stato in uso a Montenero fino a diversi decenni fa. Lo si sentiva a persone, soprattutto donne, nate a inizio secolo, non più tardi del Primo conflitto mondiale. E non di tutti i quartieri, si può affermare con ragionevole approssimazione. Perché dove il dialetto è stato modificato dai figli degli immigrati di fine Ottocento, provenienti da Marche e nord dell'Abruzzo, difficilmente si sentiva. In sintesi, chiamare la suocera "maddonn" apparteneva alla tradizione montenerese più antica, secolare.
Il perché di "maddonn" è facilmente spiegabile osservando che in molte parti d'Italia, nel dialetto, la suocera era chiamata in modo simile, specie nel Nord Italia: madona, madone ecc. Semplice è anche la ricostruzione etimologica, poiché deriva quasi certamente da madonna, ossia l'unione di "ma" (mia) e "donna" (dal latino "domina", signora, padrona). Dall'enciclopedia Treccani si ricava che "madonna" era un "titolo d’onore che si usava anticamente rivolgendosi a una donna o parlando di essa". Ne deriva che chiamare madonna la suocera, specie per le nuore ma non solo, era una forma di rispetto. Quanto questo sentimento fosse sincero resta difficile dirlo e certo variabile caso per caso. Nel dialettizzare il termine si raddoppiavano tutte le consonanti tranne la prima: "maddonn".
Il vuoto lessicale. Poiché ai nati dopo la Prima guerra mondiale difficilmente si sentiva e si sente usare tale parola, si può ipotizzare che il termine sia sparito dal vocabolario montenerese nella prima metà del Novecento. In altre parole è rimasto appannaggio di una generazione ancora legata alla parlata ottocentesca e precedente alla grande trasformazione che addolcì diversi tratti del dialetto locale. Per esempio si smise di usare la i al posto della u (caccin-cacciun, cane, oppure cacches-caccos, qualcosa). Accadde dopo la grande migrazione marchigiano-abruzzese che creò il quartiere San Giovanni (chiamato Sicilia perché staccato dal resto del paese, inizialmente). Deve essere stato allora che al termine "maddonn" è stato dato il colpo di grazia. E con ogni probabilità allora si è creato un vuoto nel vocabolario montenerese irrisolto.
In tutti i centri vicini, da Termoli a Tavenna, per distinguere suocero da suocera si usano "sucerə" e "socerə". La u per il maschio, la o per la femmina, con un pizzico di originalità in più a Palata: suocerə (suocero).
A Montenero, viceversa, nell'attuale dialetto si usa "socerə" per indicare entrambe le figure con la conseguente necessità, spesso, di aggiungere "ommenə" o "fammenə" (maschio o femmina). Un qualcosa che sembra succedere anche nella confinante San Salvo, dove può darsi che abbiano un problema analogo, dopo essere rimasti orfani del termine secolare.
Nei paesi vicini, da secoli, si è risolto usando la u e la o a seconda dei casi; qui l'uso di un termine elegante quanto arcaico ha generato a un certo punto un gap lessicale. Si risolverà? Difficile che accada, si continuerà ad aggiungere "ommenə" o "fammenə", secondo i casi. Con buona pace delle suocere, molte delle quali solo grazie a questo articolo verranno a conoscenza che un tempo la loro figura era omaggiata con "madonna".
Nella foto il centro di Montenero di Bisaccia nel primo Novecento, archivio fotografico Antonio Assogna; in basso immagine generata da intelligenza artificiale Gemini