MONTENERO DI BISACCIA. Un tempo avrebbe potuto ospitare il noto film di Totò con la scena dell'inferno, tanto era il fumo che vi si sprigionava dalle aspre creste e valli. E una foto di Gorizio Assogna riporta proprio a quei tempi, permettendo di raccontare una piccola storia di una Montenero che non c'è più. E anche di usanze casalinghe d'altri tempi, quando le produzioni di rifiuti non erano nemmeno lontanamente accostabili a quelle odierne. Già perché se si parla di Capolaserra, oggi parco dei calanchi, non si può che partire, ahinoi, dalla monnezza.
La foto pubblicata in questi giorni da Antonio Assogna, che gestisce e digitalizza l'archivio di Gorizio Pezzotta, è una ripresa di Montenero dal lato sud-est, fine anni Settanta il periodo, in primo piano contrada Laghetto. La quale si chiama così nonostante la zona sia nota come Capolaserra. Sullo sfondo c'è l'abitato, ma la particolarità è un camion che si sta liberando del carico di immondizia. L'area, infatti, è stata la discarica di Montenero dagli anni Settanta fino ai primissimi Novanta; poi due fattori, uno dei quali sa quasi di nemesi ambientale, fecero cambiare ubicazione. Ne parleremo fra poco. Come detto, i camion raccoglievano i rifiuti e li portavano lì, scaricandoli di volta in volta in uno dei valloni. Essendo un paesaggio calanchivo, infatti, se ne creavano e creano di continuo di creste che sovrastano le valli, fossi profondi varie decine di metri dove si gettava di tutto. Compresa qualche automobile, lavatrici, ferro vecchio. Ma attenzione, la produzione di rifiuti di allora, nonostante il maggior numero di residenti, non era paragonabile a quella di oggi.
L'immondizia era poi semplicemente incendiata. Ebbene sì, si dava fuoco a tutto e si lasciava bruciare, col fumo che qualche volta riusciva persino a raggiungere le case più vicine al santuario della Madonna di Bisaccia. Era la discarica di Montenero, molto semplicemente, in un'epoca in cui la plastica era usata poco o nulla. Diversamente la tonalità del fumo sarebbe passata dal grigio al nero e, presumibilmente, si sarebbe smesso molto prima di incendiare.
La discarica era attraversata dalla strada in terra battuta chiamata Capolaserra, una scorciatoia non si sa quanto conveniente fra il santuario della Madonna di Bisaccia e l'incrocio fra le Provinciali 13 e 124, in contrada Piscone. In seguito i tanti cedimenti tipici delle aree calanchive l'hanno resa dapprima strettissima, poi impraticabile. Il posto era anche frequentato dai possessori di motociclette da cross. Il laghetto, visibile nella foto sulla destra e che dà il nome alla contrada, era più grande negli anni Settanta. Nell'immagine proposta in fondo, del 2011, si vede fortemente ridimensionato, oppure mascherato dalla vegetazione acquatica. Da esso parte il torrente Tecchio, che sfocia nel mare di Petacciato.
Andò più o meno così fino al 1990, quando la Natura pensò di dare una lezioncina ai monteneresi. E per farlo usò una delle sue armi più antiche: i topi. La discarica del Capolaserra fu infestata da ratti anche di grandi dimensioni e in numero impressionante. C'era chi col fucile ad aria compressa si divertiva a fare a tiro a segno con i roditori che si rincorrevano sui mucchi di monnezza. La discarica fu presto abbandonata e trasferita poco più in là, ma restava il problema della bonifica. Inoltre si temeva che, una volta tolta loro la materia prima, i ratti potessero dirigersi verso il vicino abitato. Non andò così, per fortuna, e dopo qualche anno anche l'altra discarica, dove ormai non si bruciava più ma si sotterrava con un enorme telo di plastica, fu dismessa. In Consiglio comunale si parlò un'ultima volta di discarica in territorio montenerese nel 1997, ma ben presto si capì che il settore stava puntando su impianti di maggiori dimensioni, intercomunali, oltre al fatto che incrementare la raccolta differenziata e il riciclo era ormai una necessità, oltre che dovere ecologico, visto l'aumento inarrestabile di produzione.
L'area dei calanchi nel frattempo era proposta come Sito di interesse comunitario (Sic) e negli anni Duemila diventava un parco naturale. Un certo interesse naturalistico si univa alla storica presenza di un luogo di culto caro ai monteneresi, la grotta della Madonna, dove si narra fu trovato il celebre quadro dipinto su una tavola di legno. Oggi sono lontani i tempi in cui l'area fumava come l'inferno inscenato nel film "47 morto che parla" nella solfatara di Pozzuoli. La foto di Gorizio Pezzotta riporta a quel passato recente di Montenero, ma con abitudini così diverse da oggi. Un'area passata da discarica a parco naturale di pregio, sebbene afflitto dalle continue frane che ne sono in fondo la caratteristica. Un cambio che, in qualche modo, fu accelerato anche dai topi. Il video del 1987 con la pratica del motocross sui calanchi, con visibili i mucchi di immondizia incendiati sullo sfondo (usare il player qui sotto oppure cliccare qui per vederlo su Youtube)