Le vivaci e incredibili comunali del 1992

Le prime intese trasversali, la caduta inaspettata, gli sgambetti reciproci, cosa resta oggi delle combattute votazioni di trenta anni fa?

Rossano D'Antonio
06/06/2022
Cultura
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MONTENERO DI BISACCIA. Fu un tutti contro uno e quell'uno sembrava non aver nessuna voglia di farsi sconfiggere. Ma fu anche l'elezione delle ultime parole famose, dell'accordarsi con chi fino a un attimo prima era il nemico giurato. Esattamente nel giugno di trenta anni fa una delle battaglie elettorali più accese di sempre a Montenero. Avveniva con largo anticipo rispetto alla scadenza (avrebbe dovuto essere nel 1995) e in maniera inattesa. Così come incerto, più che mai, era il risultato alla vigilia del voto. Correva il 1992.
L'amministrazione comunale tutta comunista, fatto inedito, aveva stravinto le elezioni del 1990 ed era guidata da Nicola D'Ascanio. Già sindaco dal 1985 al 1989, sembrava dover restare alla guida per sempre, tanto era votato e popolare. Invece la sua maggioranza era caduta sotto il peso del drappo rosso che un po' cominciava a scolorire in tutto il mondo. I primi dissensi in maggioranza si erano manifestati già nell'estate 1991. Ma una prima volta D'Ascanio e i suoi erano riusciti a glissare spostando la discussione su un documento di appoggio al popolo sovietico, letto in Consiglio comunale, c'era infatti appena stato il tentativo di golpe dell'agosto '91. La resa dei conti era stata solo rinviata ed era stata implacabile. Tre assessori, due effettivi e un supplente, si erano messi di traverso e avevano fatto cadere l'amministrazione. Erano Palmerino Natalini, nel Pci da quando aveva quindici anni, Luca Palombo (un po' più giovane, ma comunista da sempre) e il dottor Nicola Morrone, eletto come indipendente nelle file rosse. Di traverso al proprio partito nel momento di apparente massimo splendore: a distanza di decenni il rapporto con i compagni diventati avversari non sempre è stato ricucito. Tradotto, ci sono persone che non si salutano ancora oggi, trenta anni dopo.
Arrivavano così in quel 1992 il voto anticipato che nessuno si aspettava e un clima di derisione generale verso l'amministrazione comunista, pronta a comandare per il resto della storia. Eppure, prima di vendere la pelliccia di D'Ascanio, era meglio aspettare di abbatterlo. Il Partito comunista italiano era diventato Partito democratico della sinistra, mentre i moderati scelsero una strada diversa da quella di due anni prima e composero più liste civiche che affiancavano di fatto la Democrazia cristiana. Ma la novità più sorprendente era forse la lista della neonata Rifondazione comunista, dove era candidato Palmerino Natalini, che sarà l'unico e fondamentale eletto in quella compagine.
Il risultato del 7 e 8 giugno vide confermata la forza della sinistra, ma il Pds prese nove seggi, che non bastavano a comporre una maggioranza (c'erano venti consiglieri). E le cose non erano più semplici dall'altra parte, poiché tutte le forze moderate (Dc e civiche) potevano arrivare a undici solo con l'appoggio dell'unico eletto di Rifondazione. Occorsero due mesi e quattro Consigli per arrivare a una soluzione e avvenne l'incredibile: Natalini senior appoggiò i moderati. Era fatta e sindaco divenne un giovane Domenico Porfido, eletto in una lista civica. Per Rifondazione si trattava di mandar giù un amaro calice, basti pensare a una delle vignette diffuse in campagna elettorale a Montenero: lo scudocrociato della Dc dietro le sbarre, con scritto "scegli il tuo futuro, l'ucciardone!!". Era appena iniziata Mani pulite in quel di Milano e si avviava a crollare quasi l'intero sistema politico esistente. 
Ma tant'è, pur di non far tornare al potere Nicola D'Ascanio si era disposti a quell'alleanza impossibile. Ma perché tanto astio contro il leader della sinistra locale? Nonostante all'epoca i compagni cercassero in tutti i modi di lavare i panni rossi in casa, si sa che i colori vivaci scolorano facilmente e trapelò qualcosa. In pratica D'Ascanio era inviso a un pezzo dello zoccolo duro del Pci montenerese, era considerato dispotico e accentratore da una parte dei maggiorenti che erano nel partito prima che lui arrivasse. Da qui la scelta sofferta di far cadere l'amministrazione quando tutto sembrava andar bene e poi di allearsi con i nemici politici di sempre. Uno dei protagonisti di quella scissione confesserà molto tempo dopo di aver sofferto per anni dopo quella scelta dolorosa.
Allora fatta la maggioranza, eletto un sindaco si poteva dire finita l'egemonia di D'Ascanio? Macché: il Pds presentò un ricorso al Tribunale amministrativo regionale e il 2 dicembre 1992 arrivò la sentenza che diede un seggio in più alla quercia. In altri termini: non c'era più una maggioranza, l'eletto di Rifondazione tornava a casa. Lo stallo era inevitabile a quel punto e a ogni Consiglio comunale cominciò a ripetersi lo stesso schema: dieci contro dieci, non passava nessun ordine del giorno. Il sindaco Porfido, di fatto, non aveva più potere. 
Le alternative erano due, tornare alle urne, col rischio che il popolo davvero si arrabbiasse stavolta, oppure qualcuno doveva saltare da una parte all'altra. Ciò che sembrava impossibile. Sembrava, perché accadde e certo non dalla parte di D'Ascanio. A dare l'appoggio alla sinistra fu l'eletto dc in quota cattolica Claudio Recchiuti. All'epoca si parlò di tradimento, ma molti dissero che aveva salvato l'amministrazione togliendola da un cul de sac per il quale non si vedeva nessuna altra soluzione plausibile. Divenne assessore e vice sindaco di D'Ascanio (alla sua terza esperienza) e durò solo un paio d'anni, poiché dopo scelse una strada completamente diversa prendendo i voti e diventando cappellano militare. Nel frattempo la politica montenerese sembrò trovare una certa pace.
COSA RESTA DI QUELLE ELEZIONI DEL 1992? In quel Consiglio comunale c'erano due politici locali dalla carriera lunga e prolifica, anche in Regione, come D'Ascanio e Porfido, ma anche due top player pluri eletti e votati come Maria Teresa De Santis e Adriano Potalivo. A parte i nomi, un po' per convenienza un po' per visione politica nel 1993 si avviava di fatto il progetto di centrosinistra che avrebbe amministrato Montenero senza interruzioni (seppur con altre turbolenze) fino al 2010. In quel periodo si capì definitivamente che non c'era nulla da fare per l'ormai rudere del Professionale in via Gramsci, che il Piano regolatore andava rifatto, che la Marina non poteva rimanere per sempre una distesa di cannucce e che certa allergia dei compagni per il cemento di ogni tipo (forse anche quello delle proprie case tanto era l'ossessione) andava almeno rivisto. Ma furono anche gli anni in cui il nuovo stadio si avviava a diventare realtà dopo tanta attesa e fu allora che il decoro cittadino fece un balzo sensibile in avanti, tra l'altro con l'avvio della raccolta differenziata di alcuni rifiuti. Fu risolto l'annoso problema dell'acqua con il collegamento alla diga del Liscione. Erano gli anni in cui le televisioni arrivavano regolarmente a Montenero perché era il paese di Antonio Di Pietro e il suo paese, va detto, non sfigurò. In quel 1993, nel bene e nel male, si avviò ciò che negli anni successivi si sarebbe concretato nel nuovo Piano regolatore e avvio dello sviluppo costiero, la cui attesa aveva fatto venire i capelli bianchi a una generazione. Era una Montenero vivace quella degli anni Novanta e l'amministrazione comunale in quella società civile, che pure provava a permeare, non entrava a gamba tesa come avrebbe fatto in seguito.
Infine, anni dopo, quel centrosinistra si sarebbe sfaldato, ma questa è un'altra storia.
Nelle foto estratti del giornalino che pubblicò Rifondazione comunista durante la campagna elettorale per le comunali 1992 di Montenero di  Bisaccia

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